sabato, settembre 20, 2014

Mindfulness - I due modi di percepire la realtà

Chi mi conosce, sa che adoro imbattermi in articoli interessanti riguardanti la scienza, soprattutto quando questa ha a che fare un po’ anche con la nostra mente. Questi giorni ho scoperto un articolo stimolante che parla dei due modi in cui la nostra mente percepisce la realtà e vorrei condividerlo con voi. In origine l’articolo è stato scritto in lingua rumena, (la mia madrelingua), e poiché ho un po’ di tempo, lo tradurrò in modo che anche voi possiate leggerlo. Posterò alla fine dell’articolo il collegamento all’originale in caso foste interessati.

“Nosce te ipsum” – conosci te stesso – è una sentenza religiosa greca antica ed è una delle più grandi esortazioni dell’antichità. Socrate, così come molti filosofi, artisti e mistici, credeva che “Una vita non esplorata non merita di essere vissuta”. Benjamin Franklin diceva che “Ci sono tre cose veramente dure: l’acciaio, il diamante e conoscere se stessi”. L’invito a conoscere la propria persona in profondità è presente inoltre anche nelle varie religioni del mondo; nel cristianesimo, il termine “vigilanza” indica l’attenzione ai propri pensieri, essendo questa uno stato che sorge “quando la mente sorveglia il cuore e i pensieri che entrano ed escono da essa”.

Nel linguaggio scientifico, la percezione dei propri pensieri, prende il nome di “metacognizione” (ovvero la capacità osservativa ed automodulante dei propri stessi processi cognitivi, Wikipedia). Indifferentemente dal nome sotto il quale il significato viene conosciuto, questo fenomeno gioca un ruolo essenziale nell’esperienza umana, essendo inserito  nelle più grandi opere letterarie e filosofiche.
Per di più, conoscere se stessi è un passo fondamentale che sta alla base di ogni cambiamento che vogliamo attuare. Come possiamo conoscere noi stessi? Negli ultimi anni, la scienza ha fatto grandi progressi in questa direzione, offrendoci una via verso questa meta tanto desiderata.

Come conoscere noi stessi ed il mondo che ci circonda?

Negli anni ’70, gli scienziati del campo della cognizione hanno scoperto che la memoria del lavoro espone un aspetto particolare, che hanno chiamato “funzione esecutiva”, e che si trova sopra tutte le altre funzioni della memoria del lavoro, monitorando il pensiero e distribuendo in modo ottimale le risorse. Le nuove tecnologie apparse alla fine del secolo passato e nel primo decennio del XXI secolo, hanno permesso agli specialisti di approfondire lo studio della memoria, aprendo così la porta di un nuovo campo scientifico intitolato “neuroscienza sociale cognitiva”. Questa nuova scienza si trova all’incrocio tra la neuroscienza cognitiva, che studia il funzionamento del cervello, e la psicologia sociale, che studia il modo in cui le persone interagiscono tra di loro. Prima della scoperta di questo nuovo campo scientifico, gli specialisti in neuroscienze tendevano ad indagare sul modo in cui lavorava un solo cervello, credendo che il sistema nervoso è un’entità isolata ed ignorando l’ambiente sociale nel quale la gente viveva. La neuroscienza sociale cognitiva approfondisce il modo in cui il cervello interagisce con altri cervelli, studiando aspetti come la competizione e la cooperazione, l’empatia, la giustizia e la conoscenza di sé.

Perché questo nuovo campo consente l’approfondimento dell’autoconoscenza? Il motivo è semplice: molte delle regioni cerebrali che il nostro cervello usa per capire l’altra gente, vengono usate allo stesso tempo anche per capire noi stessi. I ricercatori del campo delle neuroscienze sociali cognitive hanno voluto capire meglio questa capacità di penetrare all’interno della propria persona.

Kevin Ochsner, direttore del Laboratorio di Neuroscienze Sociali Cognitive dell’Università Columbia di New York, è uno dei due fondatori di questo nuovo campo scientifico. “Conoscere se stessi è la capacità di uscire dalla posizione del proprio essere e vedersi nella maniera più oggettiva possibile. Tante volte, questa cosa significa adottare la prospettiva di qualcun altro su di noi, immaginandoci di guardarci con gli occhi di un’altra persona. Così, io diventerei la camera, guardandomi e osservando qual è la mia risposta. Avere coscienza di sé, avere una prospettiva della propria persona, è come interagire con un’altra. Questo è un aspetto fondamentale che la neuroscienza sociale cerca di far capire”, spiega Ochsner.

Senza questa facoltà di posizionarsi al di fuori della propria esperienza, ci sarebbe impossibile controllarci e direzionare il nostro comportamento. L’abilità di modificare il nostro atteggiamento in tempo reale, a seconda degli obiettivi e delle situazioni, è quella che ci permette di comportarci da adulti, ed è necessaria per liberare il flusso automatico dell’esperienza e per focalizzare la nostra attenzione. Senza di essa opereremo come un pilota automatico, spinti dall’avidità, paura oppure abitudini.

Il termine tecnico usato da molti specialisti in neuroscienze per identificare questa abilità è “mindfulness” -  consapevolezza totale. La parola inizialmente indicava un antico concetto buddista, mentre oggi è usata dai ricercatori per designare l’esperienza dell’accordare un’attenzione profonda al presente in un modo più aperto. Il termine si riferisce all’idea  di vivere “in presente”, cioè essere coscienti dell’esperienza in tempo reale,  proprio quando questa accade, e di accettare quello che vediamo. Daniel Siegel, uno dei ricercatori che hanno esaminato a fondo questo campo e allo stesso tempo co-direttore di Mindful Awareness Research Center presso UCLA, definisce la “consapevolezza totale” come “nostra abilità di prendersi una pausa prima di reagire, creandosi la possibilità di analizzare più opzioni e scegliere quelle più adatte”. Per gli specialisti in neuroscienze, la  consapevolezza totale non ha niente a che fare con la spiritualità, religione o la meditazione, ma questa è una peculiarità che ognuno di noi ha in una certa misura e la può sviluppare in numerosi modi. È uno stato che possiamo attivare, e più facciamo questo, più tende a diventare un tratto caratteristico della persona.

Kirk Brown, studente presso Virginia Commonwealth University, è uno delle centinaia di ricercatori che oggi studiano la consapevolezza totale. Come studente, Brown ha osservato che alcune persone erano migliori di altre nel rilevamento dei segnali che il proprio corpo dava in seguito al recupero di un problema medicale. Le persone che erano a conoscenza delle proprie esperienze e sentimenti sembravano guarire prima rispetto alle altre. Il termine scientifico che sta ad indicare questa situazione è “sistema interocettivo”. Dato che Brown non ha scoperto nessuna unità di misura per questo tipo di coscienza , ne ha progettato una, chiamata Mindful Awareness Attention Scale (MAAS), che oggi è diventato lo strumento usato per la misura della totale consapevolezza di un individuo.

Brown ha scoperto che ognuno di noi possiede questa capacità di rilevare i segnali che il proprio corpo ci da, però il livello della capacità di riconoscerli cambia da persona a persona. Analizzando i volontari, negli anni, il ricercatore ha scoperto che il punteggio che essi ottenevano ai test MAAS avevano un collegamento diretto con lo stato di salute fisica e mentale di questi, e addirittura con le loro relazioni. “Inizialmente credevo fosse qualcosa di sbagliato con i dati riguardanti i test MAAS, ritenendo che non era possibile un legame tra tutte queste cose, però tutte le indagini che abbiamo fatto da allora non hanno fatto altro che confermarci questa scoperta”, afferma Brown.

Gli studi conseguiti da un altro ricercatore, Jon Kabat-Zinn, direttore e fondatore di Center for Mindfulness in Medicine, Healt Care, and Society, presso l’University of Massachusetts Medical School, hanno evidenziato che le persone guarivano prima da malattie dermatologiche se praticavano il “mindfulness”. Allo stesso tempo, le ricerche effettuate da Mark Williams de l’Università di Oxford hanno dimostrato che allenando la consapevolezza totale, la depressione può essere abbassata del 75%.

La totale consapevolezza, inoltre, aiuta al miglioramento e al mantenimento della salute, cosa confermata da questi studi. I ricercatori però si sono chiesti se si tratta solamente di una riduzione dello stress oppure se esiste un’altra spiegazione. Per rispondere a questa domanda, il Dott. Yi-Yuan Tang, uno tra i più importanti  specialisti in neuroscienze della Cina, nel 2007 ha effettuato uno studio. Egli ha voluto verificare se “mindfulness” è solamente una forma di allenamento al rilassamento oppure se i suoi effetti sono dovuti ad un altro meccanismo. Con questo scopo, 40 volontari hanno seguito un corso durato 5 giorni, nel quale dedicavano 20 minuti al giorno ad una tecnica mindfulness. Allo stesso tempo, altri volontari dedicavano 5 giorni all’apprendimento di una tecnica di rilassamento. “Dopo solamente cinque giorni di allenamento si registravano differenze considerabili tra i due gruppi”, spiega Tang. I test della saliva evidenziavano che i volontari che avevano imparato le tecniche della totale consapevolezza presentavano un sistema immunitario più forte e un livello più basso di cortisone. Questi risultati suggeriscono che mindfulness è molto più di un metodo di rilassamento. Cos’è allora, e perché ha un impatto così considerabile su molti aspetti della vita? La risposta potrebbe darcela uno studio del 2007.


I due modi di percepire il mondo

Uno studio realizzato da Norman Farb insieme ai suoi colleghi dell’Università di Toronto ha offerto una nuova prospettiva sulla  coscienza. Per capire appieno l’importanza di questo studio è necessario comprendere una cosa essenziale di noi stessi.

Ognuno di noi, alla nascita, ha la capacità di creare dentro alla mente rappresentazioni interne del mondo esteriore, che vengono chiamate mappe, reti o circuiti. Queste mappe si sviluppano a seconda delle cose alle quali diamo attenzione col tempo. Così, un avvocato ha mappe per migliaia di processi, un Bushman del Kalahari ha mappe mentali per quanto riguarda la scoperta dell’acqua, ed una mamma che ha partorito il terzo figlio ha mappe mentali su come convincere i bambini ad andare a letto.

Quindi, siamo dotati sin dalla nascita di questa abilità che ci permette di sviluppare automaticamente alcune mappe, come quella dell’odorato.

Farb ha ideato assieme ad altri sei compagni un metodo con il quale studiare il modo in cui le persone vivono ogni istante. Essi hanno scoperto che le persone hanno due modi distinti di interagire con il mondo circostante e che usano differenti insiemi di mappe. Un insieme implica una regione chiamata “rete neurale standard” oppure “pensiero di default”, che implica la corteccia mediale prefrontale e regioni associate alla memoria, come l’ippocampo. Questa rete viene definita “standard” , poiché diventa attiva quando non succede niente di importante e pensiamo a noi stessi. Ad esempio, quando d’estate siete sulla riva di un lago con una birra in mano, e il vento alita leggermente tra i capelli, scoprirete che al posto di apprezzare la bella giornata penserete a quello che vorreste cucinare per cena. Questo tipo di pensieri rappresentano la rete standard in azione, ed è implicata nella pianificazione, nel sognare ad occhi aperti e nell’essere saggi.

Questa rete standard si attiva quando pensate a voi stessi o ad altre persone, dando origine ad una “storia” nella quale i personaggi interagiscono in base ad una narrazione. Il cervello immagazzina un volume enorme di informazioni sugli avvenimenti personali e su quelli delle altre persone. Quando la rete standard è attiva, pensate al vostro passato e futuro e a tutte le persone che conoscete, compresi voi stessi, e al modo in cui si tesse tutta queste rete in un’enorme arazzo. Nel suo studio, Farb chiama questa rete “circuito narrativo della memoria”.

Quando percepite il mondo usando il circuito narrativo, accumulate informazioni proveniente dall’esterno, e le processate tramite un filtro, per capire che cosa significa ogni singola cosa, dopodiché aggiungete le interpretazioni personali. In questa maniera, quando vi trovate sulla riva di un lago e avvertite una fresca brezza, non la percepite oggettivamente, bensì come un segnale che l’estate finirà presto, e che probabilmente vi farà pensare alla stazione sciistica nella quale andate d’inverno e che presto dovrete lavare la tuta da sci.

La rete standard è attiva nella maggior parte dei momenti in cui siete svegli e non necessita molto sforzo per usarla. Essa è utile, però non è ideale limitare la visione del mondo solamente tramite questa.

Lo studio di Farb evidenzia un’altra via completamente diversa di percepire l’esperienza. Gli scienziati la chiamano “esperienza diretta”. Quando questa è in funzione si intensifica l’attività di più zone cerebrali. Tra queste anche l’isola, una regione che ha a che fare con la percezione delle sensazioni corporee. In questo caso si attiva la corteccia cingolata anteriore (ACC), una regione che svolge il compito chiave nel rilevamento degli errori e nella commutazione dell’attenzione. Quando la rete dell’esperienza diretta si attiva non penserete più al passato e al futuro, alla propria persona o ad altre; anzi, non penserete più a niente. Non fate altro che riconoscere in tempo reale l’informazione che vi arriva tramite i sensi. Stando sulla riva di questo lago, la vostra attenzione è concentrata sul calore del sole che sentite sulla pelle, sulla fresca brezza e su quella della birra fredda che tenete in mano.

Tramite più studi è stato scoperto che questi due circuiti, quello narrativo della memoria e quello dell’esperienza diretta, presentano un rapporto inverso. In altre parole, se mentre lavate i piatti pensate ad una riunione alla quale dovete partecipare, ci sono grandi possibilità di non accorgervi di un bicchiere rotto e di procurarvi una ferita, perché la mappa cerebrale associata alla percezione visuale è meno attiva quando è in funzione quella narrativa della memoria. Così, vediamo, udiamo, odoriamo e sentiamo meno cose quando siamo persi nei pensieri (nemmeno la birra ha un gusto buono quando siamo in questa condizione). Il meccanismo lavora anche inversamente, così che l’attivazione del circuito narrativo è attenuata quando ci concentriamo sulle informazioni percepite tramite i sensi. Questa cosa spiega il perché del fatto che quando siamo stressati ci rilassiamo se respiriamo profondamente e ci focalizziamo sul momento presente.

Perché quindi è così importante essere consapevoli dell’esistenza dei due circuiti distinti della percezione del mondo? Nella ricerca effettuata da Farb si è scoperto che le persone che praticavano la differenziazione tra la via narrativa e quella dell’esperienza diretta (ad esempio le persone che meditavano regolarmente), presentavano una diversità più evidenziata tra i due circuiti. Queste persone sapevano quale circuito è stato usato in tempo reale e riuscivano a passare dall’uno all’altro con più facilità. Invece, le persone che non avevano praticato la differenziazione tra i due circuiti tendevano ad usare in modo automatico il modo narrativo.

Uno studio effettuato da Kirk Brown ha scoperto che le persone che ottenevano un punteggio più alto sulla scala MAAS erano più consapevoli dei propri processi subcoscienti. Per di più, queste presentavano un controllo cognitivo maggiore, avendo una più grande capacità nel controllare quello che facevano e dicevano rispetto a quelle persone che avevano ottenuto un punteggio minore. Nel caso dell’esempio che sta sopra, se siete una persona cosciente, allora quando vi trovate sulla riva del lago avete più possibilità di rendervi conto che state sottovalutando una bella giornata pensando a quello che mangerete a cena, e quindi riuscireste a riportare l’attenzione sul calore del sole. Quando vi orientate di nuovo l’attenzione, cambiate anche il modo di funzionamento del cervello, e questa cosa può avere un impatto a lungo termine su di questo.

Daniel Siegel spiega questo fenomeno: “Con l’ottenimento di una concentrazione stabile e raffinata sulla mente stessa, certi percorsi cerebrali indifferenziati in passato, diventano rilevabili e poi addirittura modificabili. Questo è il metodo con il qualche possiamo usare la concentrazione mentale per cambiare funzione e, infine, anche la struttura stessa del cervello”. Di conseguenza, con l’attivazione del circuito dell’esperienza diretta, percepiamo più informazioni sul proprio stato mentale e ci permette di scegliere in che direzione spingere l’attenzione.
“Capendo il proprio cervello, aumentiamo la capacità di cambiarlo”, spiega David Rock, l’autore del libro “Your Brain at Work”, nel quale si spiega che “più cose osserviamo sulla propria esperienza, più abbiamo l’opportunità di essere coscienti. Non c’è bisogno di meditare sulla cima di una montagna per diventare più consapevoli, possiamo fare questa cosa anche mentre lavoriamo”. 

Come possiamo applicare queste scoperte nella vita d’ogni giorno?

John Teasdale, uno tra i più importanti ricercatori che hanno studiato il fenomeno mindfulness, afferma che questa forma di totale consapevolezza “è un’abitudine, una cosa che più facciamo, più diventa facile”. Teasdale aggiunge anche il fatto che “è un’abilità che può essere imparata accedendo a qualcosa di cui siamo già in possesso. La totale consapevolezza non è difficile da ottenere però è più faticoso ricordarsi di farla”.

Il metodo più semplice per ricordarci questo è avere abilità nella memoria recente. Se praticheremo in modo ripetuto il metodo mindfulness, esso sarà più semplice da usare. Gli studi mostrano che le persone che praticano in modo costante questa disciplina registrano cambiamenti cerebrali; esattamente, le zone della corteccia associata al controllo cognitivo e del cambiamento dell’attenzione, diventano più grandi.

Come possiamo allenare questa abilità? David Rock offre la risposta nel libro “Your Brain at Work”: “La cosa più importante è praticare la concentrazione su uno stimolo diretto e fare questa cosa il più spesso possibile. È utile beneficiare di un flusso così ricco, perché è più facile essere attenti alla sensazione del piede sul pavimento che non alla sensazione di un solo dito appoggiato su quest’ultimo. Potete allenare questa capacità quasi sempre, quando mangiate, camminate o parlate, senza il bisogno di meditare ed essere attenti alla respirazione”. Oltre a ciò, Rock sottolinea che è importante integrare questa esercitazione nel ritmo della propria vita. “Mia moglie ed io abbiamo creato un rituale che dura 10 secondi prima di cenare con i bambini, e che comporta accordare tutti quanti la totale attenzione al respiro durante i tre cicli prima di mangiare”.

Negli ultimi anni, le ricerche hanno scoperto sempre più benefici resi dalla consapevolezza totale. Gli scienziati sono venuti a sapere che la meditazione mindfulness riduce l’ansietà e la depressione, attenua la sensazione di dolore e protegge dall’infarto. Tra i più rispettati psicologi degli Stati Uniti, troviamo anche Michael Posner, colui che ha scopeto che la meditazione mindfulness aiuta il miglioramento delle abilità cognitive, quello della stimolazione dell’attenzione, l’ampliamento della memoria del lavoro e il miglioramento dell’intelligenza fluida. Tra questi benefici identificati recentemente troviamo anche l’abbassamento delle infiammazioni croniche, la riduzione degli sintomi da stress tra gli studenti, il miglioramento nei risultati scolastici e una scelta migliore nelle decisioni. Quindi, la scienza sembra confermare quello che già sapevano i saggi di millenni fa: conoscere se stessi è essenziale per una vita sana e piena di realizzazioni. Inoltre, la scienza di oggi ci offre anche gli strumenti con i quali capire la propria persona, avendo così l’opportunità di fare progressi.

La scelta di usare tutto ciò, ci appartiene.




Atre fonti e riferimenti a libri e/o studi:

5 commenti:

  1. mi sembrava di aver scritto un commento....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao Luca, purtroppo io non vedo nessuno oltre a questo :( Forse è stato un errore di Blogger. Se ti va puoi postarlo di nuovo! Grazie

      Elimina
    2. sono daccordo con l articolo si.. mi trovo anche nel monito..importante la mente cercvherà sempre e dico sempore di distrarci...di non vivere l presente è il suo unico obbierttivo la sua unica guerra xche nel presente essa è esclusa... mindfullness richiede uno sforzo... quotidiano orario..un campanellino al polso potrebbe aiutarci a ricordare di essere presenti..altrimenti pensieri delusioni preoccupazioni e altro ce lo impediranno...
      per il resto è ok

      Elimina
  2. Pratico la meditazione ogni mattina da diversi anni, e mi ritrovo molto nel tuo articolo :) Rispetto a quando non la conoscevo sono più rilassato, difficilmente mi deprimo e mi è più facile decidere su cosa concentrarmi... Ma concordo col fatto che essa non sia strettamente necessaria ad esser consapevoli del momento presente (anche se aiuta) ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Diciamo che essere consapevoli delle cose che si fanno ogni istante può fare la differenza in molti casi, come ad esempio incidenti sul lavoro dovuti a mancanza di attenzione, che a sua volta, in certe situazioni, deriva dallo stress. Come ad esempio, sono appena tornata da un Air Show in cui c'è stata anche la Pattuglia Acrobatica Frecce Tricolori. Credo che sia l'esempio più semplice da fare, e che non necessiti di altre spiegazioni. :)

      Elimina