Chi mi conosce, sa che adoro imbattermi in articoli
interessanti riguardanti la scienza, soprattutto quando questa ha a che fare un
po’ anche con la nostra mente. Questi giorni ho scoperto un articolo stimolante
che parla dei due modi in cui la nostra mente percepisce la realtà e vorrei
condividerlo con voi. In origine l’articolo è stato scritto in lingua rumena, (la
mia madrelingua), e poiché ho un po’ di tempo, lo tradurrò in modo che anche voi
possiate leggerlo. Posterò alla fine dell’articolo il collegamento
all’originale in caso foste interessati.
“Nosce te ipsum” – conosci te stesso – è una
sentenza religiosa greca antica ed è una delle più grandi esortazioni
dell’antichità. Socrate, così come molti filosofi, artisti e mistici, credeva
che “Una vita non esplorata non merita di essere vissuta”. Benjamin Franklin
diceva che “Ci sono tre cose veramente dure: l’acciaio, il diamante e conoscere
se stessi”. L’invito a conoscere la propria persona in profondità è presente
inoltre anche nelle varie religioni del mondo; nel cristianesimo, il termine
“vigilanza” indica l’attenzione ai propri pensieri, essendo questa uno stato
che sorge “quando la mente sorveglia il cuore e i pensieri che entrano ed
escono da essa”.
Nel linguaggio scientifico, la percezione dei
propri pensieri, prende il nome di “metacognizione” (ovvero la capacità
osservativa ed automodulante dei propri stessi processi cognitivi,
Wikipedia). Indifferentemente dal
nome sotto il quale il significato viene conosciuto, questo fenomeno gioca un
ruolo essenziale nell’esperienza umana, essendo inserito nelle più grandi opere letterarie e
filosofiche.
Per di più, conoscere se
stessi è un passo fondamentale che sta alla base di ogni cambiamento che
vogliamo attuare. Come possiamo conoscere noi stessi? Negli ultimi anni, la
scienza ha fatto grandi progressi in questa direzione, offrendoci una via verso
questa meta tanto desiderata.
Come conoscere noi stessi ed il mondo che ci
circonda?
Negli anni ’70,
gli scienziati del campo della cognizione hanno scoperto che la memoria del
lavoro espone un aspetto particolare, che hanno chiamato “funzione esecutiva”,
e che si trova sopra tutte le altre funzioni della memoria del lavoro,
monitorando il pensiero e distribuendo in modo ottimale le risorse. Le nuove
tecnologie apparse alla fine del secolo passato e nel primo decennio del XXI
secolo, hanno permesso agli specialisti di approfondire lo studio della
memoria, aprendo così la porta di un nuovo campo scientifico intitolato
“neuroscienza sociale cognitiva”. Questa nuova scienza si trova all’incrocio
tra la neuroscienza cognitiva, che studia il funzionamento del cervello, e la
psicologia sociale, che studia il modo in cui le persone interagiscono tra di
loro. Prima della scoperta di questo nuovo campo scientifico, gli specialisti
in neuroscienze tendevano ad indagare sul modo in cui lavorava un solo
cervello, credendo che il sistema nervoso è un’entità isolata ed ignorando
l’ambiente sociale nel quale la gente viveva. La neuroscienza sociale cognitiva
approfondisce il modo in cui il cervello interagisce con altri cervelli,
studiando aspetti come la competizione e la cooperazione, l’empatia, la
giustizia e la conoscenza di sé.
Perché questo
nuovo campo consente l’approfondimento dell’autoconoscenza? Il motivo è
semplice: molte delle regioni cerebrali che il nostro cervello usa per capire
l’altra gente, vengono usate allo stesso tempo anche per capire noi stessi. I
ricercatori del campo delle neuroscienze sociali cognitive hanno voluto capire
meglio questa capacità di penetrare all’interno della propria persona.
Kevin Ochsner,
direttore del Laboratorio di Neuroscienze Sociali Cognitive dell’Università
Columbia di New York, è uno dei due fondatori di questo nuovo campo
scientifico. “Conoscere se stessi è la capacità di uscire dalla posizione del
proprio essere e vedersi nella maniera più oggettiva possibile. Tante volte, questa
cosa significa adottare la prospettiva di qualcun altro su di noi,
immaginandoci di guardarci con gli occhi di un’altra persona. Così, io
diventerei la camera, guardandomi e osservando qual è la mia risposta. Avere
coscienza di sé, avere una prospettiva della propria persona, è come interagire
con un’altra. Questo è un aspetto fondamentale che la neuroscienza sociale
cerca di far capire”, spiega Ochsner.
Senza questa
facoltà di posizionarsi al di fuori della propria esperienza, ci sarebbe
impossibile controllarci e direzionare il nostro comportamento. L’abilità di
modificare il nostro atteggiamento in tempo reale, a seconda degli obiettivi e
delle situazioni, è quella che ci permette di comportarci da adulti, ed è
necessaria per liberare il flusso automatico dell’esperienza e per focalizzare
la nostra attenzione. Senza di essa opereremo come un pilota automatico, spinti
dall’avidità, paura oppure abitudini.
Il termine tecnico usato da molti
specialisti in neuroscienze per identificare questa abilità è “mindfulness”
- consapevolezza totale. La parola
inizialmente indicava un antico concetto buddista, mentre oggi è usata dai
ricercatori per designare l’esperienza dell’accordare un’attenzione profonda al
presente in un modo più aperto. Il termine si riferisce all’idea di vivere “in presente”, cioè essere
coscienti dell’esperienza in tempo reale,
proprio quando questa accade, e di accettare quello che vediamo. Daniel
Siegel, uno dei ricercatori che hanno esaminato a fondo questo campo e allo
stesso tempo co-direttore di Mindful
Awareness Research Center presso UCLA, definisce la “consapevolezza totale”
come “nostra abilità di prendersi una pausa prima di reagire, creandosi la
possibilità di analizzare più opzioni e scegliere quelle più adatte”. Per gli specialisti
in neuroscienze, la consapevolezza
totale non ha niente a che fare con la spiritualità, religione o la
meditazione, ma questa è una peculiarità che ognuno di noi ha in una certa
misura e la può sviluppare in numerosi modi. È uno stato che possiamo attivare, e più facciamo
questo, più tende a diventare un tratto caratteristico della persona.
Kirk
Brown, studente presso Virginia Commonwealth University, è uno delle centinaia
di ricercatori che oggi studiano la consapevolezza totale. Come studente, Brown
ha osservato che alcune persone erano migliori di altre nel rilevamento dei
segnali che il proprio corpo dava in seguito al recupero di un problema
medicale. Le persone che erano a conoscenza delle proprie esperienze e
sentimenti sembravano guarire prima rispetto alle altre. Il termine scientifico
che sta ad indicare questa situazione è “sistema interocettivo”. Dato che Brown
non ha scoperto nessuna unità di misura per questo tipo di coscienza , ne ha
progettato una, chiamata Mindful Awareness Attention Scale (MAAS), che oggi è
diventato lo strumento usato per la misura della totale consapevolezza di un
individuo.
Brown ha
scoperto che ognuno di noi possiede questa capacità di rilevare i segnali che
il proprio corpo ci da, però il livello della capacità di riconoscerli cambia
da persona a persona. Analizzando i volontari, negli anni, il ricercatore ha
scoperto che il punteggio che essi ottenevano ai test MAAS avevano un
collegamento diretto con lo stato di salute fisica e mentale di questi, e
addirittura con le loro relazioni. “Inizialmente credevo fosse qualcosa di
sbagliato con i dati riguardanti i test MAAS, ritenendo che non era possibile
un legame tra tutte queste cose, però tutte le indagini che abbiamo fatto da
allora non hanno fatto altro che confermarci questa scoperta”, afferma Brown.
Gli studi
conseguiti da un altro ricercatore, Jon Kabat-Zinn, direttore e fondatore di Center for Mindfulness in Medicine, Healt
Care, and Society, presso l’University of Massachusetts Medical School,
hanno evidenziato che le persone guarivano prima da malattie dermatologiche se
praticavano il “mindfulness”. Allo stesso tempo, le ricerche effettuate da Mark
Williams de l’Università di Oxford hanno dimostrato che allenando la consapevolezza
totale, la depressione può essere abbassata del 75%.
La totale
consapevolezza, inoltre, aiuta al miglioramento e al mantenimento della salute,
cosa confermata da questi studi. I ricercatori però si sono chiesti se si
tratta solamente di una riduzione dello stress oppure se esiste un’altra
spiegazione. Per rispondere a questa domanda, il Dott. Yi-Yuan Tang, uno tra i
più importanti specialisti in
neuroscienze della Cina, nel 2007 ha effettuato uno studio. Egli ha voluto
verificare se “mindfulness” è solamente una forma di allenamento al
rilassamento oppure se i suoi effetti sono dovuti ad un altro meccanismo. Con
questo scopo, 40 volontari hanno seguito un corso durato 5 giorni, nel quale
dedicavano 20 minuti al giorno ad una tecnica mindfulness. Allo stesso tempo,
altri volontari dedicavano 5 giorni all’apprendimento di una tecnica di
rilassamento. “Dopo solamente cinque giorni di allenamento si registravano
differenze considerabili tra i due gruppi”, spiega Tang. I test della saliva
evidenziavano che i volontari che avevano imparato le tecniche della totale
consapevolezza presentavano un sistema immunitario più forte e un livello più
basso di cortisone. Questi risultati suggeriscono che mindfulness è molto più
di un metodo di rilassamento. Cos’è allora, e perché ha un impatto così
considerabile su molti aspetti della vita? La risposta potrebbe darcela uno
studio del 2007.
I due
modi di percepire il mondo
Uno studio realizzato da Norman Farb insieme ai suoi
colleghi dell’Università di Toronto ha offerto una nuova prospettiva sulla coscienza. Per capire appieno l’importanza di
questo studio è necessario comprendere una cosa essenziale di noi stessi.
Ognuno di noi, alla nascita, ha la capacità di
creare dentro alla mente rappresentazioni interne del mondo esteriore, che
vengono chiamate mappe, reti o circuiti. Queste mappe si sviluppano a seconda
delle cose alle quali diamo attenzione col tempo. Così, un avvocato ha mappe
per migliaia di processi, un Bushman del Kalahari ha mappe mentali per quanto
riguarda la scoperta dell’acqua, ed una mamma che ha partorito il terzo figlio
ha mappe mentali su come convincere i bambini ad andare a letto.
Quindi, siamo dotati sin dalla nascita di questa
abilità che ci permette di sviluppare automaticamente alcune mappe, come quella
dell’odorato.
Farb ha ideato assieme ad altri sei compagni un
metodo con il quale studiare il modo in cui le persone vivono ogni istante.
Essi hanno scoperto che le persone hanno due modi distinti di interagire con il
mondo circostante e che usano differenti insiemi di mappe. Un insieme implica
una regione chiamata “rete neurale standard” oppure “pensiero di default”, che
implica la corteccia mediale prefrontale e regioni associate alla memoria, come
l’ippocampo. Questa rete viene definita “standard” , poiché diventa attiva
quando non succede niente di importante e pensiamo a noi stessi. Ad esempio,
quando d’estate siete sulla riva di un lago con una birra in mano, e il vento
alita leggermente tra i capelli, scoprirete che al posto di apprezzare la bella
giornata penserete a quello che vorreste cucinare per cena. Questo tipo di
pensieri rappresentano la rete standard in azione, ed è implicata nella
pianificazione, nel sognare ad occhi aperti e nell’essere saggi.
Questa rete standard si attiva quando pensate a voi
stessi o ad altre persone, dando origine ad una “storia” nella quale i
personaggi interagiscono in base ad una narrazione. Il cervello immagazzina un
volume enorme di informazioni sugli avvenimenti personali e su quelli delle
altre persone. Quando la rete standard è attiva, pensate al vostro passato e
futuro e a tutte le persone che conoscete, compresi voi stessi, e al modo in
cui si tesse tutta queste rete in un’enorme arazzo. Nel suo studio, Farb chiama
questa rete “circuito narrativo della memoria”.
Quando percepite il mondo usando il circuito
narrativo, accumulate informazioni proveniente dall’esterno, e le processate
tramite un filtro, per capire che cosa significa ogni singola cosa, dopodiché
aggiungete le interpretazioni personali. In questa maniera, quando vi trovate
sulla riva di un lago e avvertite una fresca brezza, non la percepite
oggettivamente, bensì come un segnale che l’estate finirà presto, e che
probabilmente vi farà pensare alla stazione sciistica nella quale andate
d’inverno e che presto dovrete lavare la tuta da sci.
La rete standard è attiva nella maggior parte dei
momenti in cui siete svegli e non necessita molto sforzo per usarla. Essa è
utile, però non è ideale limitare la visione del mondo solamente tramite questa.
Lo studio di Farb evidenzia un’altra via completamente diversa
di percepire l’esperienza. Gli scienziati la
chiamano “esperienza diretta”. Quando questa è in funzione si intensifica
l’attività di più zone cerebrali. Tra queste anche l’isola, una regione che ha
a che fare con la percezione delle sensazioni corporee. In questo caso si
attiva la corteccia cingolata anteriore (ACC), una regione che svolge il
compito chiave nel rilevamento degli errori e nella commutazione
dell’attenzione. Quando la rete dell’esperienza diretta si attiva non penserete
più al passato e al futuro, alla propria persona o ad altre; anzi, non penserete
più a niente. Non fate altro che riconoscere in tempo reale l’informazione che
vi arriva tramite i sensi. Stando sulla riva di questo lago, la vostra
attenzione è concentrata sul calore del sole che sentite sulla pelle, sulla
fresca brezza e su quella della birra fredda che tenete in mano.
Tramite più studi è stato scoperto che questi due circuiti, quello narrativo della
memoria e quello dell’esperienza diretta, presentano un rapporto inverso.
In altre parole, se mentre lavate i piatti pensate ad una riunione alla quale
dovete partecipare, ci sono grandi possibilità di non accorgervi di un
bicchiere rotto e di procurarvi una ferita, perché la mappa cerebrale associata
alla percezione visuale è meno attiva quando è in funzione quella narrativa
della memoria. Così, vediamo, udiamo, odoriamo e sentiamo meno cose quando
siamo persi nei pensieri (nemmeno la birra ha un gusto buono quando siamo in
questa condizione). Il meccanismo lavora anche inversamente, così che l’attivazione del circuito narrativo è
attenuata quando ci concentriamo sulle informazioni percepite tramite i sensi.
Questa cosa spiega il perché del fatto che quando siamo stressati ci rilassiamo
se respiriamo profondamente e ci focalizziamo sul momento presente.
Perché quindi è così importante essere consapevoli
dell’esistenza dei due circuiti distinti della percezione del mondo? Nella
ricerca effettuata da Farb si è scoperto che le persone che praticavano la
differenziazione tra la via narrativa e quella dell’esperienza diretta (ad
esempio le persone che meditavano regolarmente), presentavano una diversità più
evidenziata tra i due circuiti. Queste persone sapevano quale circuito è stato
usato in tempo reale e riuscivano a passare dall’uno all’altro con più
facilità. Invece, le persone che non avevano praticato la differenziazione tra
i due circuiti tendevano ad usare in modo automatico il modo narrativo.
Uno studio effettuato da Kirk Brown ha scoperto che
le persone che ottenevano un punteggio più alto sulla scala MAAS erano più
consapevoli dei propri processi subcoscienti. Per di più, queste presentavano
un controllo cognitivo maggiore, avendo una più grande capacità nel controllare
quello che facevano e dicevano rispetto a quelle persone che avevano ottenuto
un punteggio minore. Nel caso dell’esempio che sta sopra, se siete una persona
cosciente, allora quando vi trovate sulla riva del lago avete più possibilità
di rendervi conto che state sottovalutando una bella giornata pensando a quello
che mangerete a cena, e quindi riuscireste a riportare l’attenzione sul calore
del sole. Quando vi orientate di nuovo l’attenzione, cambiate anche il modo di
funzionamento del cervello, e questa cosa può avere un impatto a lungo termine
su di questo.
Daniel Siegel spiega questo fenomeno: “Con
l’ottenimento di una concentrazione stabile e raffinata sulla mente stessa,
certi percorsi cerebrali indifferenziati in passato, diventano rilevabili e poi
addirittura modificabili. Questo è il metodo con il qualche possiamo usare la
concentrazione mentale per cambiare funzione e, infine, anche la struttura
stessa del cervello”. Di conseguenza, con l’attivazione del circuito
dell’esperienza diretta, percepiamo più informazioni sul proprio stato mentale
e ci permette di scegliere in che direzione spingere l’attenzione.
“Capendo il proprio cervello, aumentiamo la capacità
di cambiarlo”, spiega David Rock, l’autore del libro “Your Brain at Work”, nel
quale si spiega che “più cose osserviamo sulla propria esperienza, più abbiamo
l’opportunità di essere coscienti. Non c’è bisogno di meditare sulla cima di
una montagna per diventare più consapevoli, possiamo fare questa cosa anche
mentre lavoriamo”.
Come possiamo applicare queste scoperte nella vita d’ogni
giorno?
John Teasdale, uno tra i più importanti ricercatori
che hanno studiato il fenomeno mindfulness, afferma che questa forma di totale
consapevolezza “è un’abitudine, una cosa che più facciamo, più diventa facile”.
Teasdale aggiunge anche il fatto che “è un’abilità che può essere imparata
accedendo a qualcosa di cui siamo già in possesso. La totale consapevolezza non
è difficile da ottenere però è più faticoso ricordarsi di farla”.
Il metodo più semplice per ricordarci questo è avere
abilità nella memoria recente. Se praticheremo in modo ripetuto il metodo
mindfulness, esso sarà più semplice da usare. Gli studi mostrano che le persone
che praticano in modo costante questa disciplina registrano cambiamenti
cerebrali; esattamente, le zone della corteccia associata al controllo
cognitivo e del cambiamento dell’attenzione, diventano più grandi.
Come possiamo allenare questa abilità? David Rock
offre la risposta nel libro “Your Brain at Work”: “La cosa più importante è
praticare la concentrazione su uno stimolo diretto e fare questa cosa il più
spesso possibile. È utile beneficiare di un flusso così ricco, perché è più
facile essere attenti alla sensazione del piede sul pavimento che non alla
sensazione di un solo dito appoggiato su quest’ultimo. Potete allenare questa
capacità quasi sempre, quando mangiate, camminate o parlate, senza il bisogno
di meditare ed essere attenti alla respirazione”. Oltre a ciò, Rock sottolinea
che è importante integrare questa esercitazione nel ritmo della propria vita.
“Mia moglie ed io abbiamo creato un rituale che dura 10 secondi prima di cenare
con i bambini, e che comporta accordare tutti quanti la totale attenzione al
respiro durante i tre cicli prima di mangiare”.
Negli ultimi anni, le ricerche hanno scoperto sempre
più benefici resi dalla consapevolezza totale. Gli scienziati sono venuti a
sapere che la meditazione mindfulness riduce
l’ansietà e la depressione, attenua
la sensazione di dolore e protegge dall’infarto. Tra i più rispettati
psicologi degli Stati Uniti, troviamo anche Michael Posner, colui che ha
scopeto che la meditazione mindfulness aiuta il miglioramento delle abilità
cognitive, quello della stimolazione dell’attenzione, l’ampliamento della
memoria del lavoro e il miglioramento
dell’intelligenza fluida. Tra questi benefici identificati recentemente
troviamo anche l’abbassamento delle
infiammazioni croniche, la riduzione
degli sintomi da stress tra gli studenti, il miglioramento nei risultati scolastici e una scelta migliore nelle decisioni. Quindi, la scienza sembra
confermare quello che già sapevano i saggi di millenni fa: conoscere se stessi
è essenziale per una vita sana e piena di realizzazioni. Inoltre, la scienza di
oggi ci offre anche gli strumenti con i quali capire la propria persona, avendo
così l’opportunità di fare progressi.
La scelta di usare tutto ciò, ci appartiene.
Atre fonti e riferimenti a libri e/o studi: